“Ricordo quando ero bambino, che le rare volte che passava in televisione un frammento di Mistero Buffo, mi incantavo, immobile, davanti al televisore. Certo non potevo capire di cosa o esattamente di chi, stava parlando Dario Fo, eppure stavo lì, lo sguardo incollato a quest’uomo che si muoveva come un giullare e che parlava una lingua a me incomprensibile.
E ridevo.
E forse sta proprio in questa universalità la forza di Mistero Buffo e di Fo, uno spettacolo che riesce a catturare tutti, indipendentemente dall’età o dall’estrazione culturale.
E che fa ridere.
Il titolo stesso, Mistero buffo, è emblematico della scelta di Fo di trattare l’espressione popolare nella sua forma ironico-grottesca, come mezzo di provocazione e di agitazione delle idee. Già fin dal III-IV secolo dopo Cristo il termine mistero indicava uno spettacolo, una rappresentazione sacra. Un mistero buffo è dunque una “rappresentazione di temi sacri in chiave grottesco-satirica”. Nell’interpretazione dei misteri, l’attore comico popolare del Medioevo, cioè il giullare, non ridicolizzava o dissacrava la religione, ma smascherava, denunciava le azioni dei potenti e prepotenti, che utilizzavano la religione e il sacro per mantenere privilegi e tutelare i propri interessi.
Mistero buffo si basa sull’interpretazione di un solo attore, che recita nella lingua originale dell’opera, rivisitata in dialetto padano con inflessioni venete, lombarde e piemontesi. L’attore entra ed esce dai vari personaggi e mantiene con il pubblico un contatto diretto, spiegando ciò che sta facendo e chiedendo anche il suo aiuto.
Sono anni che sto studiando Mistero Buffo, i testi, la mimica, i ritmi di recitazione.Per me lavorare ai testi di Mistero Buffo ha significato uno studio profondo del lavoro fatto, in più di 40 anni, da Dario Fo, e penso che riproporre i testi così come sono stati scritti è, per me, la sola maniera in cui si può affrontare il lavoro.
Quando si propongono autori così grandi, che hanno avuto un riconoscimento mondiale, sullo stile affinato in tutta una carriera, si può cercare di stare loro accanto, senza sfigurare. Stravolgere la messa in scena o tentare di crearne una nuova sarebbe, per me, come “tradire” l’opera originale.Per me è un onore proporre “lo Fo…io!” come omaggio al grande maestro che è stato, ed è, per me Dario Fo.”